Riporto il mio articolo pubblicato su Camminando Scalzi.
“Le minacce alla libertà dei media rimangono una preoccupazione in democrazie consolidate. Varie pressioni limitano la libertà di stampa in paesi democratici diversi come India, Israele, Italia e Sud Africa. [...] L’Italia è rimasta un’eccezione nella sua regione (Europa occidentale, ndA) con il suo status ‘parzialmente libero’, e ha registrato una piccola diminuzione del punteggio durante il 2010 a causa degli accresciuti tentativi del governo di interferire con la politica editoriale presso le emittenti di Stato, in particolare sulla copertura degli scandali che accerchiano il Primo Ministro Silvio Berlusconi”.
“Le minacce alla libertà dei media rimangono una preoccupazione in democrazie consolidate. Varie pressioni limitano la libertà di stampa in paesi democratici diversi come India, Israele, Italia e Sud Africa. [...] L’Italia è rimasta un’eccezione nella sua regione (Europa occidentale, ndA) con il suo status ‘parzialmente libero’, e ha registrato una piccola diminuzione del punteggio durante il 2010 a causa degli accresciuti tentativi del governo di interferire con la politica editoriale presso le emittenti di Stato, in particolare sulla copertura degli scandali che accerchiano il Primo Ministro Silvio Berlusconi”.
Queste parole sono tratte dal rapporto “Freedom of the Press 2011” di Freedom House. Per chi non lo sapesse, Freedom House è un istituto di ricerca statunitense che si occupa di promuovere la democrazia e la libertà nel mondo. Ogni anno stila un rapporto sulla situazione della libertà della stampa e dei servizi di informazione a livello globale. Nel 2010 l’Italia era al 72esimo posto (su 196 paesi) della classifica. Male, eh? Quest’anno siamo ulteriormente peggiorati. Ora siamo 75esimi, confermando lo status di paese parzialmente libero come, fra gli altri, Benin, Bulgaria, Bielorussia (Lukashenko, chi è questo?), Namibia, Botswana, Haiti o Timor Est. Paese parzialmente libero. Alla faccia di chi continua a blaterare che “Santoro e il TG3 sono la prova che in Italia non ci sono limiti alla libertà di informazione”.
Nel mese di aprile Freedom House aveva pubblicato il rapporto “Freedom on the Net 2011“, che come dice il titolo espone i risultati di un analogo studio sulla libertà di espressione su Internet. In questo rapporto l’Italia si piazza decisamente meglio, al sesto posto, guadagnandosi lo status di paese libero. Non c’è molto da sorridere, però. Fra le pagine dedicate al nostro paese, ecco cosa si legge:
“La spinta per restringere la libertà su internet proviene in parte dalla struttura della proprietà dei mezzi di comunicazione in Italia. Il Primo Ministro Silvio Berlusconi possiede, direttamente e indirettamente, un grande raggruppamento privato di media, e la sua posizione politica gli conferisce una significativa influenza sulla nomina di funzionari della televisione di Stato. Un tale dominio finanziario ed editoriale dei media radio-televisivi può offrire alla classe dirigente del paese un incentivo a restringere la libera circolazione dell’informazione online, per ragioni politiche o per influenzare la competizione per gli spettatori derivante dai contenuti video online. Ciò nonostante, alla fine del 2010, la varietà di vedute e il livello di critica al governo nelle discussioni online erano in gran parte non controllate e apparivano più grandi che nei mezzi di comunicazione radio-televisivi e di stampa”.
Non a caso, puntualmente, le analisi di Freedom House trovano molto più spazio e vengono sottoposte ad analisi e commenti molto più su blog, forum e organi di informazione su internet che in TV. Tuttavia, internet è uno strumento che richiede una partecipazione attiva dell’utente alla ricerca dell’informazione, mentre i mezzi cosiddetti “tradizionali” permettono un approccio passivo, purtroppo molto più gradito al pigro italiano medio, soddisfatto dell‘infotainment di basso livello che ogni giorno gli viene riversato addosso. Il rapporto non fa che sottolineare un dato di fatto noto da tempo e per questo costantemente sminuito: il conflitto di interessi di Silvio Berlusconi è gigantesco e influenza, in negativo, la vita democratica del nostro paese. Un paese disinformato non possiede l’arma più importante in difesa della democrazia, ossia la possibilità di verificare l’operato della classe dirigente, fondamento della sovranità popolare.
James Madison, quarto Presidente degli Stati Uniti d’America, scriveva:
"Un governo popolare, quando il popolo non sia informato o non disponga dei mezzi per acquisire informazioni, può essere solo il preludio a una farsa o a una tragedia, e forse a entrambe. La conoscenza governerà sempre sull’ignoranza, e un popolo che intende essere il proprio governante deve armarsi con il potere che la conoscenza fornisce".
Duecento anni dopo, in un’epoca in cui le notizie sono veramente a portata di tutti, affrontiamo ancora gli stessi problemi. È interessante il fatto che Freedom House significhi “Casa della libertà”. Evidentemente il concetto di libertà non è uguale per tutti.
Nel mese di aprile Freedom House aveva pubblicato il rapporto “Freedom on the Net 2011“, che come dice il titolo espone i risultati di un analogo studio sulla libertà di espressione su Internet. In questo rapporto l’Italia si piazza decisamente meglio, al sesto posto, guadagnandosi lo status di paese libero. Non c’è molto da sorridere, però. Fra le pagine dedicate al nostro paese, ecco cosa si legge:
“La spinta per restringere la libertà su internet proviene in parte dalla struttura della proprietà dei mezzi di comunicazione in Italia. Il Primo Ministro Silvio Berlusconi possiede, direttamente e indirettamente, un grande raggruppamento privato di media, e la sua posizione politica gli conferisce una significativa influenza sulla nomina di funzionari della televisione di Stato. Un tale dominio finanziario ed editoriale dei media radio-televisivi può offrire alla classe dirigente del paese un incentivo a restringere la libera circolazione dell’informazione online, per ragioni politiche o per influenzare la competizione per gli spettatori derivante dai contenuti video online. Ciò nonostante, alla fine del 2010, la varietà di vedute e il livello di critica al governo nelle discussioni online erano in gran parte non controllate e apparivano più grandi che nei mezzi di comunicazione radio-televisivi e di stampa”.
Non a caso, puntualmente, le analisi di Freedom House trovano molto più spazio e vengono sottoposte ad analisi e commenti molto più su blog, forum e organi di informazione su internet che in TV. Tuttavia, internet è uno strumento che richiede una partecipazione attiva dell’utente alla ricerca dell’informazione, mentre i mezzi cosiddetti “tradizionali” permettono un approccio passivo, purtroppo molto più gradito al pigro italiano medio, soddisfatto dell‘infotainment di basso livello che ogni giorno gli viene riversato addosso. Il rapporto non fa che sottolineare un dato di fatto noto da tempo e per questo costantemente sminuito: il conflitto di interessi di Silvio Berlusconi è gigantesco e influenza, in negativo, la vita democratica del nostro paese. Un paese disinformato non possiede l’arma più importante in difesa della democrazia, ossia la possibilità di verificare l’operato della classe dirigente, fondamento della sovranità popolare.
James Madison, quarto Presidente degli Stati Uniti d’America, scriveva:
"Un governo popolare, quando il popolo non sia informato o non disponga dei mezzi per acquisire informazioni, può essere solo il preludio a una farsa o a una tragedia, e forse a entrambe. La conoscenza governerà sempre sull’ignoranza, e un popolo che intende essere il proprio governante deve armarsi con il potere che la conoscenza fornisce".
Duecento anni dopo, in un’epoca in cui le notizie sono veramente a portata di tutti, affrontiamo ancora gli stessi problemi. È interessante il fatto che Freedom House significhi “Casa della libertà”. Evidentemente il concetto di libertà non è uguale per tutti.
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