Le rivoluzioni vincono non in forza delle loro idee, ma quando riescono a confezionare una classe dirigente migliore di quella precedente.
I. Montanelli
Prima di conoscere i risultati delle elezioni, l'auspicio era di riuscire a percepire quantomeno un segnale di vita, un sintomo di resistenza contro il tumore berlusconiano. È arrivato uno scossone tanto inatteso quanto benedetto.
Bersani aveva fissato come obiettivo due vittorie al primo turno e due ballottaggi. Probabilmente sperava di vincere subito a Bologna e Torino e di strappare il ballottaggio a Milano e Napoli. In fondo, costringere il centrodestra a vincere al secondo turno in due città come Milano e Napoli sarebbe stato già un ottimo risultato. Ed era vero. Adesso c'è da riconsiderare la situazione.
Non si può non parlare di Milano. Inutile soffermarsi su quanto fosse grande la posta in palio. Come si suol dire, Berlusconi se l'è cercata. Se da una parte è certamente vero che la sfida politica in questa città era importante per ragioni che vanno al di là dell'identità del capo del centrodestra, in virtù della storia e della cultura politica propria di Milano e dell'Italia, è anche vero che è stato Berlusconi a caricare ulteriormente la partita di un significato politico più ampio dei confini comunali. "Le elezioni del 15 e 16 maggio sono elezioni amministrative, ma dobbiamo vincerle non solo per portare il buon governo nei comuni e nelle province, ma anche e soprattutto per confermare e rafforzare il nostro governo sul piano nazionale". È l'incipit del messaggio del premier di qualche giorno prima delle elezioni. Senza contare il fatto che Berlusconi si era impropriamente candidato come capolista a Milano, sia per creare un effetto di traino per la Moratti, sia per ribadire come l'esito delle votazioni a Milano avesse una valenza nazionale. Alla luce di ciò, la sconfitta brucia ancora di più. Interessante il fatto che Giuliano Pisapia sia l'esponente della sinistra vera, non il classico candidato bisognoso di preghiere davanti allo schermo affinché dica "qualcosa di sinistra". È sostenuto da Vendola e aveva vinto le primarie contro Boeri, l'architetto candidato del PD, che peraltro dal giorno dopo ha egregiamente lavorato per lui. La campagna elettorale del centro-destra, infatti, è stata più incentrata sull'attacco al presunto estremismo di Pisapia che sulle altrettanto presunte capacità di Letizia Moratti. Non ha funzionato. D'altronde, è difficile accusare gli avversari di estremismo quando i "moderati" sferrano cannonate alla magistratura e al Presidente della Repubblica e usano la menzogna come arma di delegittimazione politica. In una politica normale, ciò comporterebbe la fine dell'uso del comunismo come spauracchio da parte di Berlusconi. Non succederà, anche perché altrimenti occorrerebbe riempire i discorsi di contenuti veri, cosa improbabile.
Dall'altra parte, tuttavia, sarebbe anche ora di capire che nascondere le proprie radici di sinistra, abdicare alla politica sociale per paura dell'etichettatura "rossa" e cercare a tutti i costi il compromesso con chi ancora fa dello scudo crociato un punto di riferimento (ma anche lisciare il pelo ai teodem o imbarcare gente come Calearo), non è necessariamente la via più proficua da punto di vista elettorale, oltre che politico. Se Pisapia dovesse spuntarla al ballottaggio (idea quantomeno utopistica fino a pochi giorni fa), Vendola acquisterebbe un credito nella lotta per la leadership del centro-sinistra in vista delle politiche, non più schiacciato dal suo essere troppo estremo per guidare tutta la coalizione. In generale, per la prima volta dal 2008, la sinistra si trova nella situazione di non dover più rimuovere le macerie ma di potere (e dovere) costruire finalmente un progetto concreto.
Le prossime due settimane saranno importantissime. Se il centro-sinistra riuscirà a non tirarsi la zappa sui piedi, si potrebbe addirittura sperare di portare a casa sia Milano che Napoli, qualora De Magistris fosse sostenuto senza polemiche intestine. A quel punto, a pochi giorni dai referendum, basterebbe mettersi comodi sul divano e assistere all'eutanasia politica di Berlusconi. Se Milano, infatti, diventasse "rossa", la Lega non ci penserà due volte a interrompere la nutrizione forzata.
Dall'altra parte, tuttavia, sarebbe anche ora di capire che nascondere le proprie radici di sinistra, abdicare alla politica sociale per paura dell'etichettatura "rossa" e cercare a tutti i costi il compromesso con chi ancora fa dello scudo crociato un punto di riferimento (ma anche lisciare il pelo ai teodem o imbarcare gente come Calearo), non è necessariamente la via più proficua da punto di vista elettorale, oltre che politico. Se Pisapia dovesse spuntarla al ballottaggio (idea quantomeno utopistica fino a pochi giorni fa), Vendola acquisterebbe un credito nella lotta per la leadership del centro-sinistra in vista delle politiche, non più schiacciato dal suo essere troppo estremo per guidare tutta la coalizione. In generale, per la prima volta dal 2008, la sinistra si trova nella situazione di non dover più rimuovere le macerie ma di potere (e dovere) costruire finalmente un progetto concreto.
Le prossime due settimane saranno importantissime. Se il centro-sinistra riuscirà a non tirarsi la zappa sui piedi, si potrebbe addirittura sperare di portare a casa sia Milano che Napoli, qualora De Magistris fosse sostenuto senza polemiche intestine. A quel punto, a pochi giorni dai referendum, basterebbe mettersi comodi sul divano e assistere all'eutanasia politica di Berlusconi. Se Milano, infatti, diventasse "rossa", la Lega non ci penserà due volte a interrompere la nutrizione forzata.
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