E' l'equazione di Drake. A voi il compito di capire il motivo per cui l'ho usata come intestazione del mio blog. Mi piacerebbe che questo fosse uno spazio per esprimere i pensieri e le riflessioni che mi ronzano in mente e per ricevere le opinioni positive e, soprattutto, negative di chi le riterrà comunque meritevoli di una lettura.

mercoledì 23 marzo 2011

La voce delle armi

Siamo tutti fratelli, ma è difficile stabilire chi è Caino e chi Abele.
E. Biagi


Chiunque voglia dire la sua sulla vicenda libica deve prima mettere in ordine i pensieri (abitudine non troppo diffusa, purtroppo) e votarsi alla massima onestà intellettuale.
Un intervento militare in Libia costituisce un'interferenza straniera su un paese sovrano. Di questo occorre prendere atto. La risoluzione dell'ONU o l'eventuale "ombrello" NATO non rendono la pillola molto più dolce, visto che la NATO non è un'organizzazione rappresentativa di un consesso mondiale, come potrebbe essere l'ONU, ma, al contrario, è il braccio armato delle potenze occidentali, retaggio della guerra fredda. È nata per essere di parte. Il massimo organo delle stesse Nazioni Unite, d'altronde, non è democratico nella sua costituzione, e molto ci sarebbe da discutere sulla necessità di una profonda riforma della governance mondiale.
La caduta del muro ha significato la vittoria definitiva del capitalismo e dell'economia di mercato sul comunismo. Tale vittoria è stata così netta da relegare la politica a un ruolo subalterno agli affari. Di fatto, l'ordine mondiale è stato regolato da logiche di mercato. Abbiamo chiamato pace la condizione favorevole agli affari, guerra la condizione sfavorevole e peacekeeping i nostri interventi militari per passare dalla seconda alla prima. Le eccezioni a questa logica sono le situazioni delicate in aree geograficamente o politicamente vicine a noi. Ecco allora che in Iraq si fanno due guerre, dato che il dittatore che secondo le istruzioni doveva essere amico non rispetta i piani e non garantisce petrolio in maniera affidabile. Nei Balcani si interviene perché il Kosovo è appoggiato dai "nostri" e non si può lasciare che alle porte dell'Europa ci siano troppe tensioni. In Cecenia non si interviene, perché uno sgarbo ai russi (mai del tutto sottovalutabili, anche a guerra fredda terminata) significa niente gas per l'inverno. In Ruanda non si interviene perché, semplicemente, chissenefrega.
E in Libia? L'intervento in Libia crea un precedente perché non segue le solite regole del sistema. Gheddafi era un interlocutore tutto sommato affidabile per concludere affari. Accade però che in tutto il nord Africa si inneschi un effetto domino dei regimi autoritari (tutti retti da burattini nelle mani di europei e americani) e che il popolo libico rincorra il sogno della democrazia. Che fare? La situazione di Gheddafi appare disperata, i ribelli sembrano sul punto di conquistare anche Tripoli, e i grandi del mondo balbettano. Gli eventi non sono manovrati da USA E UE, che sono costrette, in qualche modo, ad andare a rimorchio. L'intervento militare iniziato negli ultimi giorni, giusto o sbagliato che sia, sarebbe stato molto meno difficile e molto più risolutivo se attuato due settimane fa. La confusione ha invece regnato sovrana, e adesso i paesi auto-definitisi (con notevole umorismo) "volenterosi" corrono in soccorso degli insorti con notevole ritardo. D'altra parte, si potrebbe obiettare che era giusto in un primo tempo limitarsi a fare il tifo per i ribelli senza intervenire, mentre adesso sono essi stessi a chiederci di sostenerli. In questo senso, l'operazione militare è un messaggio per gli altri paesi del mondo arabo, per sottolineare l'inaccettabilità di un soffocamento violento delle proteste.
E se l'intervento in Libia non fosse altro che l'ennesima guerra per il potenziale business dopo la rivoluzione? Si interverrebbe se dalla Libia non giungessero né petrolio né gas?
Le domande possono continuare... È giusto intervenire? Se da un lato non si può lasciare che Gheddafi torni al potere annegando nel sangue le legittime richieste dei libici, dall'altro, come dicevo, bisogna rendersi conto che ciò significa interferire nelle faccende interne di altri Stati.  Perché non si è dato un sostegno non militare ai ribelli libici nel loro momento migliore? Si adotterebbe la soluzione militare anche contro un paese facente parte del consiglio di sicurezza? Si interverrebbe domani anche in Yemen, a ridosso dell'Arabia Saudita? E se scoppiassero tumulti anche lì?
L'unica cosa innegabile è che non è la prima volta che le grandi potenze si trovano costrette a rimediare militarmente a situazioni che la diplomazia non riesce a domare, originate da scelte politiche infelici. Quanti giorni sono serviti per trasformare Gheddafi dal terrorista di Lockerbie ad un riconosciuto capo di stato e uomo d'affari nordafricano? E quanti altri per compiere il percorso inverso?

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